Elogio del Subbuteo

Dal blog Fumo di Londra, Frammenti di Inghilterra quotidiana, Kataweb, 27 maggio 2006.

L’ultima volta fu circa 25 anni fa. Poi smisi. Lo avevo fatto tutti i giorni, più di una volta al giorno, a casa mia, dagli amici, al circolino, al chiuso e all’aperto. Il rito mi avvinceva. 

Il tappeto verde, la pallina bianca, le sfide e le controsfide. C’era regolamento nella scatola in cui facevano capolino modi nuovi di dire le solite cose: penalty per rigore, six yard area per area di porta, off-side per fuorigioco.  Per me che a scuola studiavo francese era un mondo che si svelava in pillole. Per me che non ero mai stato in Inghilterra, era l’Inghilterra in scatola. Il massimo della libidine era giocare col mangianastri acceso e le canzoni dei Beatles a fare da coro dei tifosi: Hey Jude, A hard day’s night, Ticket to ride, Yellow Submarine e così via. Poi il sogno è diventato realtà e nell’Inghilterra quella vera che sa di fish and chips, di nuvole, degli annunci della metropolitana e brilla però ogni sera, come fosse Natale, con le luci di Piccadilly Circus, mi ci sono ritrovato dentro. Come mi capitò quella volta da bambino al cinema quando, cercando nel buio la toilette, sbagliai porta e finii per restare abbagliato nella stanzina dove girava la pellicola.

Ieri era una domenica a rischio di diventar noiosa. Chiara è grandicella e va già accompagnata alle feste, Francesco mi trascina davanti alla scacchiera dove, alla terza partita, sento le palpebre farsi pesanti.

Approfittando dell’apertura domenicale dei negozi, rito londinese deprecabile quanto comodo, siamo usciti di casa in due e ne siamo tornati in tre. Francesco, io e la scatola del Subbuteo. Feticcio per me che da ragazzino la bramai tanto, era un gioco costoso e un po" da "addetti ai lavori", non il solito regalo che ti appioppano parenti e amici privi di idee, perciò dovetti aspettare un bel po’ per averlo. Con altrettanta rapidità me ne disfeci regalandolo a un amico perché non ho mai sopportato l’idea di tenere una cosa se non la uso. Ho fatto così anche con un Vespone del ‘63 che se me lo fossi tenuto negli anni e portato oggi a Londra la gente si girerebbe per strada a guardarlo! Ma non c’erano più pezzi di ricambio, freni e luci non funzionavano più e quando mi scheggiai un dente cadendo di notte a Tirrenia decisi di disfarmene alla svelta in una vertigine di libertà. E chi se ne importa! Come quando mia figlia qualche anno fa si faceva regalare un palloncino per poterlo lasciarlo andare in cielo e seguirlo divertita. Lei non piangeva come di solito i bambini ma godeva del volo del palloncino, finalmente libero nell’infinito. Sarà un vizio di famiglia… 

… ma il Subbuteo no. Quello, appena è cresciuto abbastanza il possibile compagno/avversario, l’ho rivoluto lì, sul tavolo o sul tappeto di casa.

Dopo mezz’ora e qualche contrattazione sulla scelta dei calciatori per il "dream team", eravamo lì a carambolare e darci di dito sul tappeto verde. La pausa per andare a riprendere Chiara è stata una pratica da sbrigare in fretta come quando ti metti in forno la pizza fra il primo e il secondo tempo di una partita in tv. La cena, un lampo farcito di ketchup per il mio bimbo/avversario, di vino bianco per me. Entrambi dopati abbiamo ripreso la sfida quasi dimentichi del tempo. La partita è finita quando bimbo grande e bimbo piccolo si stavano addormentando sul campo e i goal non si contavano più. Il divertimento era stare insieme facendo finta di avere lo stadio in camera propria. Unica differenza: niente cori dei tifosi, ma la voce di Nicoletta in sottofondo, da un’altra stanza, che legge un libro a Chiara, scusa per scambiarsi confidenze da mamma a figlia, con gli "uomini" relegati nel domestico surrogato della "sala biliardo". Finché maschietti e femminucce non si sono mescolati nel gioco intorno al medesimo rettangolo verde prima del triplice fischio finale.

Ma quel che c’è più di bello e che i biglietti per il prossimo derby del Fulham li abbiamo già in tasca, col Charlton un’altra squadra londinese. Il "Craven Cottage" ce l’abbiamo quasi sotto casa. E quel pomeriggio il campo ci crescerà addosso fino a diventare grande grande, coi giocatori che non potremmo più biscottare col dito, gli spalti gremiti, i cori e il profumo degli hot dogs che sfrigolano intorno e i bicchieroni di caffè e di birra che schiumano sui gradini e talvolta anche sui maglioni! L’eccitazione strana che precede il calcio d’inizio, novanta minuti di subbuteone, poi si torna a casa appena appagati e un po’ più addicted di prima come per ogni piacere che si rispetti.

Così, tornando a giocare a casa a Subbuteino, nel piccolo grande campo, potrò raccontare ancora una volta a Chiara e Francesco del marinaio Gulliver e di come il mondo sia in fondo Lilliput oggi e il Paese dei Giganti domani. Come Anglonia sia buffa e incredibile vista da Latinopoli e viceversa. Come il grande e il piccolo, il vicino e il lontano, la realtà e la fantasia, il falso e il vero siano tali solo negli occhi di chi guarda. E come in fondo resti solo la voglia di raccontarsi il mondo a vicenda. E di divertirsi insieme a chi ha ancora voglia di giocare.

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